Olivicoltura, le cooperative di Legacoop Lazio: meno burocrazia e attenzione ai danni del cambiamento climatico

La legge sull’eno-oleoturismo della regione Lazio potrebbe essere strategica per promuovere le realtà agricole della zona intorno al Lago di Bolsena (Viterbo), sostiene Fabrizio Pini, presidente della cooperativa Terre Etrusche, aderente a Legacoop Lazio. “Tuttavia“, aggiunge Pini,è necessario che le istituzioni regionali procedano ad una importante opera di sburocratizzazione“, spiegando che per ottenere un investimento occorrono almeno 4 o 5 anni, con il rischio che il bene richiesto sarà già diventato obsoleto. “Sarebbe poi fondamentale – prosegue Pini – che si lavorasse sui partenariati perché le istituzioni ascoltino le parti, soprattutto la base produttiva, prima di dare il via a bandi e progetti”.

Il presidente della cooperativa ha poi commentato gli impatti del cambiamento climatico sull’olivicoltura, spiegando che lo scorso anno, a giudicare dalla fioritura, si aspettava uno dei raccolti migliori degli ultimi anni, ma, al contrario, le piogge abbondanti hanno creato un danno enorme agli oliveti in tutto il viterbese.

L’olio di oliva conferito dalla cooperativa Terre Etrusche alla Organizzazione di Produttori APPO, etichetta con cui viene commercializzato, ha recentemente vinto il premio della Stampa estera ed è molto richiesto soprattutto in Stati Uniti e Danimarca e ha in programma di espandersi anche in Cina.

Terre Etrusche – nata solo quattro anni fa per migliorare la gestione degli oliveti abbandonati e dei frantoi oleari del viterbese – a breve aprirà un proprio punto vendita nella zona attorno al Lago di Bolsena per vendere l’olio extravergine bio DOP Tuscia e IGP Roma. “Quando abbiamo preso in carico il primo frantoio – sottolinea il presidente Pini – molivamo 1500 quintali di olive, l’ultima molitura invece è arrivata a diecimila quintali“.

Anche per Paolo Mariani, presidente di “Frantoi del Lazio”consorzio di secondo livello nato nel 2000 e aderente a Legacoop Lazio, la sfida più importante rimane quella del cambiamento climatico. “Le gelate del 2018, le frequenti piogge che si alternano a periodi di forte siccità, causano problemi di stabilizzazione del prodotto – spiega il presidente del consorzio-. I cambiamenti climatici rappresentano una sfida significativa per l’olivicoltura, soprattutto nelle regioni interne del Lazio e delle zone centrali dell’Italia. Questi cambiamenti hanno effetti diretti sulla pianta di olivo, la quale richiede quantità adeguate di acqua e freddo per prosperare. Tuttavia, negli ultimi anni, sia l’acqua che il freddo sono diventati scarsi, creando difficoltà per gli oliveti collinari, tipici di queste regioni“.

La mancanza di risorse idriche e di infrastrutture come bacini di raccolta e consorzi di bonifica rende difficile implementare sistemi di irrigazione nelle zone collinari, aggravando ulteriormente la situazione. “Inoltre, sebbene l’approccio biologico alla produzione agricola sia lodevole, non è sufficiente a combattere le malattie che affliggono gli uliveti – commenta il presidente Paolo Mariani-. Negli anni ’80, quando prevaleva l’uso di prodotti chimici, si sono verificati disastri ambientali, ma ora mancano prodotti efficaci per la gestione delle malattie, e la ricerca in questo settore è limitata e spesso controllata da multinazionali. La sostenibilità dell’olivicoltura richiede un approccio olistico che includa non solo la dimensione ambientale, ma anche quella economica, sociale ed etica. Tuttavia, al momento, mancano strategie a livello industriale per affrontare queste sfide, e le produzioni rischiano di ridursi notevolmente”.

Non solo nella regione Lazio ma anche nelle altre, l’olivicoltura sta diventando sempre più un’attività marginale, soprattutto per le imprese agricole di medie dimensioni, che faticano a mantenere la redditività senza forme di aggregazione. “Senza interventi mirati a livello regionale e cooperativo, l’agricoltore medio potrebbe essere costretto ad abbandonare questa attività. Per affrontare queste sfide, è necessario un cambiamento di prospettiva – chiarisce Mariani-. Le vecchie forme di cooperativa, nate negli anni ’70 devono essere rinnovate. Piuttosto che limitarsi a produrre, trasformare e commercializzare, queste nuove filiere devono impegnarsi a garantire una produzione di alta qualità e a valorizzare il lavoro degli agricoltori“. L’aggregazione e la creazione di contratti di rete possono rappresentare soluzioni efficaci per sostenere gli agricoltori e garantire un reddito stabile. Tuttavia, è fondamentale che questa collaborazione includa non solo l’aspetto produttivo, ma anche quello trasformativo e commerciale, per garantire un equo ritorno economico agli agricoltori.

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