Roma, 10 luglio 2025 – Il ritiro degli emendamenti al decreto Infrastrutture – approvato in prima lettura dalla Camera il 10 luglio e ora atteso al Senato, dove non sarà modificato – che puntavano a introdurre la revisione ordinaria obbligatoria dei prezzi e regole più uniformi negli appalti di servizi e forniture, è una scelta che condanna al fallimento decine di aziende, con il conseguente rischio di perdita di migliaia di posti di lavoro, e minaccia la tenuta di settori cruciali per il funzionamento quotidiano del Paese.
È la denuncia della Consulta dei Servizi, che riunisce 19 associazioni nazionali – tra cui Legacoopsociali e Legacoop Produzione e Servizi – e 4 filiere, a seguito del ritiro – senza motivazioni – durante l’iter di conversione del decreto legge 73/2025 presso le commissioni Ambiente e Trasporti della Camera, di emendamenti ritenuti essenziali per garantire equità e continuità negli appalti pubblici.
Il settore dei servizi fatica a sostenere contratti pubblici che non riconoscono l’impatto reale dell’inflazione e dell’aumento dei costi, sottolinea la Consulta. La soglia del 5% di variazione per l’attivazione della revisione prezzi, abbassata correttamente al 3% per i lavori pubblici, si è dimostrata inefficace. Inoltre, l’assenza di norme certe sulla revisione prezzi, per contratti pluriennali della durata di almeno 5 anni, nei comparti ad alta intensità di manodopera dove il costo del lavoro pesa in modo decisivo, ha un effetto diretto sulle politiche salariali. Senza una revisione dei contratti in essere con la PA, che tenga conto degli aumenti previsti dai rinnovi dei CCNL, si rischiano ricadute sul fronte occupazionale: o le imprese non saranno in grado di onorare gli appalti vinti e partecipare ai nuovi, o saranno costrette a ridurre drasticamente i costi, con effetti sulla qualità dei servizi e sulla dignità del lavoro, precisa ancora la Consulta.
Parlamento e governo, conclude il comunicato, devono porre la giusta attenzione alle conseguenze che deriveranno dal vigente quadro normativo, che mette a rischio la tenuta economica e sociale dei servizi pubblici essenziali – dalla ristorazione scolastica e ospedaliera alla vigilanza, dai servizi ambientali al welfare – dai quali dipende, per lo svolgimento di attività quotidiane di milioni di cittadini, la funzionalità stessa del Paese. Si tratta di un comparto, quello dei servizi essenziali, che vale oggi 70 miliardi di euro, impiega un milione di persone ed è parte integrante della coesione sociale e del benessere dei cittadini.